sabato 9 novembre 2013

Spegnere, come una sigaretta ..


Di questi giorni, la notizia che a fine mese l'altoforno di Piombino, dove io ho lavorato per 5 bloody years, verrà spento. Una di quelle cose che ti buca il fegato, anche per motivi affettivi .
Il presidente della Regione Toscana è volato dalle alte sfere europee per vedere se riescono a riconvertirlo, e i 1500 lavoratori possono sperare.

Oggi è così. Molto più di ieri, le cose cambiano, mutano, si trasformano, si sconvolgono. Realtà vive da decenni, che costituiscono l'ossatura di un'intera cultura, si spazzano via con poche ramazzate.
Serve, nel caso di Piombino, ricordare l'illustrissimo passato etrusco da cui la siderurgia ha preso le mosse? O sottolineare che Ilva era il nome latino dell'Isola D'Elba (proprio lì davanti), prima di diventare quello della grande azienda siderurgica a partecipazione statale che abbracciava tutta la Penisola, da Aosta a Taranto, passando per esempio da Bagnoli e Terni (oltre che per Piombino)?
Dal punto di vista pratico, no. Quel passato ormai si avvia a diventare remoto (se remoto non è già).
Alla faccia di chi ha impostato una vita al ritmo della turnazione continua - primo, secondo e notte, senza sabati e domeniche, senza feste.

L'unico dato certo è che le aziende sono mirate al profitto(*). Possono essere più o meno illuminate, ma questo è. E in questa logica, chiudono, aprono, comprano, abbandonano. Anche le migliori, le più sane, le più avvedute. Anche le best in class per metodologie, scrupolo, tecnologia, Lean, DFSS e Six Sigma e APQP e chi più ne ha più ne metta; che se fai un giro nel loro gemba neppure uno spillo fuori posto ci trovi, e magari ai dipendenti offrono pure un bel cappuccino con la timbratura (caffè qualità arabica).
Comunque sia, il cappuccino tocca a chi resta dentro (se qualcuno vi resta, e non si sbaracca tutto). A chi sta fuori, niente.

In un certo senso, nulla di male. Oppure no, fa male. Decidete voi. Ma in ogni caso, bisogna tenerlo a mente, bene in mente.
Il modo di fare lavoro è cambiato, sta cambiando, cambierà ancora. Verso quale direzione? Mah. Ognuno ha la propria visione (la sottoscritta non fa eccezione), molte collimano; certezze comunque non ce ne sono.

Continuo a pensare alla sostenibilità, e alle difficoltà enormi in merito nel caso di un'acciaieria, che è lavorazione intrinsecamente complessa - senza sparare sentenze o attaccarsi (sarebbe facile) al caso lampante di Taranto. Siamo tra le lavorazioni di base, ad alta complessità e basso valore aggiunto; cose che conviene far fare altrove, dove almeno i costi sono inferiori, e la complessità è gestita grazie a leggi e sensibilità sociale meno vincolanti. Guardando avanti, non so che futuro avrà il materiale acciaio nell'impiego industriale o in quello per oggetti; non so se e da cosa verrà sostituito, o se gli oggetti cambieranno in modo da non richiederne più (**). Però questo dico: spostare altrove, o lasciare che altrove si ponga il problema della sostenibilità, mi pare azione ben miope. Come se altrove le persone non avessero, di fatto, i nostri stessi diritti.
In primis quello alla salute, e al lavoro.
Non so che altro dire.

(*) Non tiro in ballo le realtà no-profit: non ne so abbastanza. 

(**) Nel settore dell'auto, l'acciaio è stato progressivamente sostituito da altri materiali di maggiore leggerezza e versatilità (Alluminio, plastica - per citare i più evidenti); le biciclette performanti sfoggiano leghe in Titanio ed altre diavolerie. Questi sono i primi esempi che mi vengono in mente. Ma l'innovazione continua a puntare su materiali nuovi, e su nuovi modi di ottenere le 'caratteristiche' necessarie alla 'funzionalità' dell'impiego (processi più economici, meno invasivi). Chissà cosa ci aspetta, dietro l'angolo; quali piccole o grandi rivoluzioni.

Nessun commento:

Posta un commento